Riabilitazione di spalla: consigli e precauzioni
Pubblicato il 14 Settembre 2017
È ambizione comune, nell’ambito delle patologie muscolo-scheletriche, recuperare il paziente nel più breve tempo e nel miglior modo possibile.
In passato i tempi d’immobilità post-chirurgica venivano eccessivamente ed erroneamente prolungati, con gravi complicanze legate alla parziale perdita di mobilità e all’eccessiva riduzione del tono-trofismo muscolare. Negli ultimi anni, consapevoli degli aspetti negativi riconducibili all’immobilità, la tendenza è stata quella di ridurre il periodo di “non uso” del distretto interessato.
Nella maggioranza dei casi, questo principio condotto con logica e razionalità, ha contribuito ad un più veloce recupero complessivo del paziente, sportivo e non. A nostro avviso, l’applicazione pratica della riabilitazione anticipata, deve rispettare il compromesso tra la salvaguardia dei tessuti danneggiati ed il movimento richiesto.
In collaborazione con l’equipe chirurgica, il fisioterapista dovrà essere a conoscenza del tipo d’intervento e della qualità dei tessuti. In ambito chirurgico-riabilitativo l’articolazione scapolo-omerale e le strutture ad esse connesse, hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora una problematica ancora in crescita. Lo sviluppo delle tecniche chirurgiche, tra cui l’introduzione delle tecniche artroscopiche, hanno favorito una maggiore conoscenza degli aspetti anatomo-patologici di questo segmento corporeo. La possibilità di ispezionare l’articolazione al suo interno, in presenza di una pressoché totale integrità anatomica, ha allargato gli orizzonti di ciò che prima rientrava genericamente e totalmente sotto la diagnosi di periartrite di spalla. Tali conoscenze, a loro volta, hanno favorito e stimolato il settore riabilitativo.
Le terapie fisiche, in precedenza principale rimedio alla “periartrite di spalla”, sono state affiancate dall’esecuzione di esercizi mirati e specifici per ogni singola patologia. Tali esercizi derivano dall’integrazione delle conoscenze anatomo-patologiche, della fisiologia articolare e delle forze muscolari che si esercitano su questa articolazione. Un buon equilibrio muscolare, associato ad una corretta fisiologia articolare, dà all’articolazione una stabilità che riduce i rischi dell’insorgenza di patologie muscolo-tendinee e capsulo-legamentose.
Quando tali forze non sono ben equilibrate, il protrarsi dei gesti sportivi o delle attività quotidiane può portare all’insorgere di una sintomatologia di spalla che interessa tutte le possibili categorie, dalla casalinga alla segretaria, dal sedentario allo sportivo. Nessuno risulta immune quando ci si muove all’interno di un equilibrio non fisiologico. Il meccanismo sopra citato è responsabile della comparsa di patologie da sovraccarico; vi sono inoltre molteplici patologie traumatiche (fratture, lussazioni, strappi,etc…) che allargano ulteriormente la platea dei soggetti interessati.
Per le patologie da sovraccarico è sicuramente importante il discorso preventivo e cioè una serie di esercizi specifici indirizzati al rinforzo dei gruppi muscolari, allo scopo di raggiungere e mantenere il miglior equilibrio possibile. Negli episodi traumatici, trattati in modo sia conservativo che chirurgico o in tutte quelle persone che hanno già sviluppato una patologia da sovraccarico, è indispensabile una corretta riabilitazione, mirata al raggiungimento della massima funzionalità possibile. In tutti questi casi l’uso dell’ambiente acqua riveste una notevole importanza.
All’interno dell’acqua i movimenti risultano facilitati; la resistenza offerta da questo elemento naturale è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. Pertanto il movimento in acqua è meno doloroso e, quindi, più indicato per quei pazienti che hanno subito un intervento chirurgico alla spalla o che soffrono per questa articolazione. Queste persone, ancora più di altre, possono apprezzare i vantaggi offerti all’acqua. Partiamo dal presupposto che l’acqua non è la panacea nella riabilitazione, così come non lo è l’isocinetica o qualsiasi altra tecnica a noi nota, ma è un mezzo che permette di facilitare la ripresa dei movimenti attivi, di stimolare un iniziale recupero del tono muscolare e del “range” articolare, il tutto nei modi e nei tempi che normalmente “a secco” non sono previsti.
Diversi sono gli accorgimenti che il fisioterapista deve considerare quando inizia il trattamento di un paziente operato alla spalla:
- La patologia – Le moderne tecniche diagnostiche, l’introduzione della chirurgia artroscopica, il definirsi dell’esame clinico e la nascita di una branca specialistica hanno consentito di individuare una serie di patologie diverse. È logico intuire che ad ogni patologia corrisponda un suo specifico trattamento.
- La tecnica chirurgica utilizzata – occorre distinguere l’intervento artrotomico da quello artroscopico; diverse possono essere le tecniche, utilizzate dai chirurghi (in relazione alle proprie conoscenze ed esperienze) per curare una medesima patologia.
- Il tipo di tessuto – l’entità del danno dei tessuti molli e la loro capacità elastica, possono differenziare il risultato finale in termini di funzionalità.
- Le caratteristiche del paziente – sportivo o non sportivo, giovane o anziano, che svolge lavori pesanti o d’ufficio, motivato o non motivato, ecc. Gli obiettivi che vogliamo raggiungere, le aspettative del paziente e del fisioterapista sono condizionate anche da questi fattori.
A queste prime considerazioni dobbiamo aggiungere da un lato il rispetto dei tempi biologici dei tessuti e dall’altro la ripresa del movimento, al fine di scongiurare l’insorgere della rigidità di spalla. Tutti questi aspetti, ed altri ancora, ci permettono di strutturare un protocollo di trattamento. Il protocollo, a sua volta, deve essere flessibile e adattato alle esigenze soggettive ed oggettive del momento, poiché le variabili che lo influenzano sono diverse. Il fisioterapista, presa conoscenza di questi aspetti, applica le proprie tecniche ed utilizza le attrezzature di cui dispone.
Gli apparecchi fisioterapici possono ridurre le contratture antalgiche e limitare la flogosi. Per limitare la riduzione di forza relativa al primo periodo post-chirurgico è consigliabile la rieducazione pre-operatoria, la limitazione del periodo d’immobilità, il coinvolgimento negli esercizi dei distretti limitrofi (polso, gomito, tronco), e l’utilizzo del movimento anticipato in acqua. La piscina come detto rappresenta un valido aiuto nel recupero della mobilità anche nelle immediate fasi post-chirurgiche.
Le resistenze elastiche e successivamente quelle isotoniche, possono favorire un graduale recupero della forza specifica e generale. Le apparecchiature isometriche o isocinetiche, infine, ci aiutano a valutare numericamente i livelli di forza raggiunti dai pazienti. Il test di forza rappresenta uno stimolo per il paziente ed un valido punto di riferimento della validità o meno del lavoro svolto. Per la valutazione della forza è indispensabile possedere una macchina isocinetica o isometrica, che permetta test attendibili e riproducibili.
Il test rappresenta un punto di riferimento che: stimola il paziente ad aumentare l’impegno nell’esecuzione degli esercizi di rinforzo; indica al fisioterapista l’efficacia del lavoro consigliato al paziente.
Per concludere, forza e mobilità sono due requisiti indispensabili dai quali una riabilitazione accelerata non può prescindere.
I mezzi per raggiungere queste qualità sono:
- Collaborazione con l’equipe chirurgica ed eventualmente con l’anestesista
- Riduzione dell’immobilità
- Movimento anticipato passivo del terapista ed in acqua
- Rieducazione pre-operatoria ove possibile
- Monitorare il recupero della forza
- Sostenere il paziente nel suo lavoro giornaliero anche psicologicamente
- Sfruttare i principi del trasferimento controlaterale e del movimento dei segmenti contigui.